Intervista a David S. Oderberg

David S. Oderberg, filosofo australiano, è professore e direttore degli studi di ricerca post-laurea presso l’Università di Reading, in Inghilterra, oltre che curatore di Ratio, rivista accademica di filosofia analitica. Nel corso della sua carriera si è occupato di un’ampia varietà di temi, spaziando in diversi campi della filosofia ma riservando particolare attenzione alla metafisica e alla filosofia morale. Il suo approccio all’etica e alla bioetica si iscrive nella tradizione della legge naturale e si basa sulla metafisica aristotelico-tomista.

1) Uno dei cardini del suo approccio alle questioni bioetiche è il recupero della teleologia, in particolare nella tradizione del diritto naturale e nella sua concezione dell’identità personale, il dualismo ilemorfico. In un’epoca in cui tutto è considerato culturale e in cui ogni tipo di intervento, dall’ingegneria genetica all’interazione uomo-macchina, minaccia di alterare ciò che siamo, pensa che ci sia ancora posto per la natura umana?

La natura umana ha sempre un posto perché non può essere sradicata senza distruggere completamente la specie umana. Il termine “teleologia”, per deboli ragioni che risalgono al primo “Illuminismo”, è visto con sospetto dai filosofi. Non si tratta forse della vecchia e cattiva metafisica aristotelica – cause finali, sinistra causalità, strani concetti pre-scientifici? In realtà, la teleologia è una metafisica raffinata, piuttosto aristotelica e tanto migliore per questo. È perfettamente scientifica. È solo che ciò che viene considerato come “scientifico” al giorno d’oggi è spesso meno scienza e più opinione filosofica o addirittura pregiudizio. Se non c’è una natura umana, non c’è nulla che significhi essere umani se non quello che qualcuno – forse quel qualcuno è il governo, o l’establishment scientifico, o le élite globali – vuole che sia, o dice che è “buono per noi”. E questo apre la strada proprio a ciò che hai menzionato, come l’ingegneria genetica non regolamentata, il tentativo di fondere l’uomo e la macchina, la sperimentazione infinita, che inizia di solito sugli animali, con tutta la crudeltà che ciò comporta, e termina con i tentativi di alcuni esseri umani, che si considerano “migliori” o “più saggi” del resto di noi – certamente più ricchi e più potenti – di controllare e manipolare il resto di noi.

La natura umana ha sia un aspetto positivo che uno negativo. L’aspetto negativo è che fornisce confini metafisici su come le persone possono o non possono essere trattate. È per questo che esistono i diritti umani, ad esempio il diritto di non essere assassinati o di non essere sottoposti a esperimenti senza un consenso informato; il diritto di persone innocenti di vivere liberamente e senza essere molestate dallo Stato o da qualche oligarchia decisa ad usarle come strumenti per i propri desideri. L’aspetto positivo è che fornisce una sorta di modello per vivere, non un progetto elaborato in ogni dettaglio, ma una sorta di cornice entro la quale possiamo e dobbiamo sviluppare la nostra indole. Dobbiamo usare le nostre caratteristiche distintive di esseri umani – in particolare la nostra ragione e il nostro libero arbitrio – per vivere in un modo che promuova e protegga la virtù, che sviluppi i nostri talenti in maniera da portare un beneficio sia a noi come individui sia alla comunità in generale. La nostra natura umana ci spinge alla cooperazione, agli atti di gentilezza, al lavoro di costruzione e di creazione della bellezza e alla distruzione di ciò che è volgare, brutto e che asseconda le nostre passioni più basse. In definitiva, la nostra natura umana ci indirizza verso Colui che ci ha creati e la cui eterna saggezza – il cui logos – governa il nostro mondo. Ora, questo potrebbe sembrare sciocco o ingenuo per coloro che pensano di avere il futuro del mondo – e il proprio destino – nelle proprie mani, ma in realtà è l’esatto contrario. L’alternativa a questo punto di vista non è altro che un consiglio dettato dal caos e dalla disperazione. Lo vediamo ogni anno che passa.

2) In una precedente intervista lei ha affermato che in passato era favorevole all’aborto, ma poi ha cambiato radicalmente posizione sull’argomento. Cosa l’ha portata a questo cambio di posizione?

Beh, durante gli anni dell’università, e per un breve periodo successivo, sono stato un convinto sostenitore dell’aborto. Suppongo che, come molti giovani filosofi della mia generazione, fossi colpito dai testi di Peter Singer, James Rachels, Michael Tooley e altri bioeticisti e anche dalla molto più sofisticata difesa dell’aborto di Judith Jarvis Thomson. Con il tempo, però, e dopo molte letture e discussioni con altri, ho capito che questa posizione era sbagliata. Non solo un po’ sbagliata, o quasi giusta, ma del tutto sbagliata, piuttosto scadente e disastrosa per l’umanità. Non è difficile capire cosa mi ha fatto cambiare idea. Quando ero favorevole all’aborto, pensavo ai diritti delle donne, puro e semplice. Pensavo alla donna che porta in grembo il feto. Non pensavo al feto se non come un ostacolo alla libertà della donna. Una volta che ho allargato i miei orizzonti metafisici ed etici, per così dire, e ho cominciato a pensare al feto, al bambino non ancora nato, per quello che è, cioè un essere umano proprio come te, me o la donna che lo porta in grembo, è stato impossibile in tutti i modi mantenere una posizione a favore dell’aborto.

Nel corso degli anni ho continuato a riflettere su questo tema, insieme a molti altri temi bioetici, e ho pubblicato un bel po’, tra cui il mio libro Applied Ethics, che contiene un capitolo sull’aborto. Nel libro mostro che ogni argomento popolare a favore dell’aborto è fallimentare e che la difesa della sacralità della vita è solida come una roccia. Anche l’argomentazione di Thomson, con il suo famigerato esperimento mentale del violinista, è in realtà un sofisma, superficialmente molto intelligente e persuasivo, ma che si sgretola di fronte ad un’analisi più approfondita.

La questione non è difficile alla radice. Bisogna smettere di pensare a molte cose per un minuto – alla donna che porta in grembo il bambino, al padre del bambino, alla società in generale, a questioni come la popolazione, i soldi, la libertà, l’autonomia, l’autodeterminazione e così via – e durante quel singolo minuto, pensare al bambino non ancora nato e imparare sia dalla biologia che dalla filosofia che non è né più né meno che un essere umano innocente. Nient’altro viene prima di questo nell’ordine delle giustificazioni o delle argomentazioni. Tutto il resto viene dopo. Quindi, qualunque sia la soluzione a problemi più ampi – se di problemi si tratta – che hanno a che fare con l’autonomia, la libertà, i diritti delle donne e così via, non può essere l’omicidio di un essere umano innocente. Altrimenti il gioco è fatto e la moralità non esiste più.

3) Nelle sue opere, lei ha spesso difeso l’obiezione di coscienza in campo sanitario come parte di una più ampia difesa della libertà di coscienza e di religione. Tuttavia, ci si potrebbe chiedere come si possa difendere l’obiezione di coscienza nei confronti di pratiche, che siano l’aborto o l’eutanasia, che di solito sono considerate o come una forma di omicidio ingiustificato oppure come procedure che dovrebbero far parte di un servizio sanitario di base. L’obiezione di coscienza non è forse solo un confuso compromesso?

Sono d’accordo con te. È un confuso compromesso, adatto solo alla confusione delle società pluraliste liberali con tutti i diversi punti di vista che esse rappresentano. Gli Stati che professano di garantire la libertà religiosa, la libertà di credo e di coscienza, la non coercizione, le società che sono non confessionali, laiche, ufficialmente neutrali in tutto tranne che nel loro liberalismo, hanno bisogno di leggi istituzionalizzate sulla coscienza che proteggano le persone dalla coercizione o dall’aspettativa pressante di dover violare convinzioni etiche o religiose profondamente radicate in loro. Senza di esse, gli individui si troveranno e si trovano costretti a violare i loro principi. Sta accadendo in tutto l’Occidente Collettivo. I professionisti sanitari che si rifiutano di eseguire o assistere a dei trattamenti verso i quali hanno sincere obiezioni di principio possono venire puniti o licenziati dal loro lavoro, come nel famoso caso Doogan in Scozia, sul quale ho pubblicato un articolo qualche anno fa.

Quello che ho sostenuto, ad esempio nel mio libro Opting Out, è che il dibattito sulla coscienza si è impantanato nel dibattito sull’aborto e su altre questioni di vita/morte. Quello che dimentichiamo è che la tecnologia medica sta avanzando così rapidamente che la coscienza sta diventando un problema in tutta la medicina. Se una dottoressa obietta rifiutandosi di effettuare un intervento di chirurgia transessuale, dovrebbe essere punita? Che dire di chi desidera modifiche corporee estreme di altro tipo, come le forme radicali di chirurgia estetica che vediamo crescere di popolarità? Che dire di chi sostiene di avere l’apotemnofilia1Disturbo psichiatrico caratterizzato dal desiderio di essere amputati o di avere un qualche tipo di disabilità, talvolta in associazione a motivazioni erotiche (n.d.r.). e chiede a un chirurgo di amputare una gamba sana? I professionisti sanitari dovrebbero essere costretti a prescrivere farmaci per migliorare le prestazioni nello sport, vaccinazioni che molti esperti considerano rischiose nonostante l’opinione diffusa dell’establishment, o stimolatori neurologici per aiutare gli studenti a superare gli esami? L’elenco è potenzialmente infinito. In futuro vedremo sempre più esempi di questo tipo. Ecco perché i governi devono agire subito e andare oltre la tradizionale obiezione di coscienza in tempo di guerra per arrivare a una legislazione completa che protegga la libertà di coscienza in medicina e non solo.

Ci sono sicuramente molte difficoltà concettuali in questa proposta, soprattutto per quanto riguarda la definizione di confini ragionevoli tra i casi in cui la protezione della coscienza dovrebbe o non dovrebbe essere applicata. Ho affrontato alcune di queste nei miei scritti. Ma in una società liberale e pluralista non vedo alternative. Se questo è il tipo di società in cui viviamo – in cui ci dicono che viviamo coloro che stanno al di sopra di noi – allora coloro che detengono il potere dovrebbero dimostrare ciò che dicono sancendo l’obiezione di coscienza nella legge.

4) Nei suoi scritti lei ha criticato sia il criterio neurologico che il criterio circolatorio-respiratorio per l’accertamento della morte. Ciò sembra portare o al rifiuto della maggior parte delle donazioni di organi o all’abbandono della regola del donatore morto, che consentirebbe la donazione di organi vitali da esseri umani vivi. Dato che lei sembra propendere per la prima opzione, quando pensa che sia moralmente lecito donare gli organi?

Nel mio articolo su questo argomento ho sostenuto che l’unico segno certo della morte è la decomposizione. Tutti gli altri segni sono intrinsecamente inaffidabili, non ultima la cosiddetta “morte cerebrale”. Questa è stata la visione universale dell’umanità per millenni, fino al recente sviluppo della tecnologia medica, per rilevare la presenza o l’assenza di alcuni processi organici fondamentali come la circolazione. Ciò ha coinciso con l’avvento della tecnologia in grado di mantenere in vita artificialmente tali processi quando una persona non può farlo autonomamente, insieme all’invenzione e al perfezionamento del trapianto di organi. Tutti questi sviluppi hanno prodotto una tempesta perfetta per cui i confini tra la vita e la morte sono diventati più sfumati nella mente dei filosofi e dei medici. Ancora una volta, come nel caso dell’aborto, la tendenza è stata quella di concentrarsi su ciò che è palesemente visibile – la donna disperata che porta in grembo il bambino, il povero paziente che ha bisogno di un trapianto di fegato o di cuore – e di ignorare, o cercare di evitare di porre l’attenzione, su ciò che è visibile solo con un certo sforzo: il bambino non ancora nato come individuo possessore di diritti umani, o la persona in coma che ha anch’essa un inalienabile diritto alla vita anche se sembra essere “bella che morta” e semplicemente un possibile “donatore” che può salvare la vita di qualcun altro.

In questi casi ci sono più “portatori di interessi etici” di quanto non appaia agli occhi di molti. Non c’è spazio per entrare nei dettagli in questa sede, ma il mio punto di vista – effettivamente controverso e certamente non accattivante per un gran numero di persone – è che probabilmente ogni singolo organo che sia mai stato rimosso da un’altra persona, con o senza consenso, è stato prelevato da un essere umano vivente. Ciò significa che coloro che sono morti dopo l’espianto sono stati, puramente e semplicemente, assassinati per i loro organi. Non so come altro dirlo senza sminuire la verità di ciò che è accaduto. Forse mi sbaglio, in tal caso ritiro tutto… ma non vedo come potrei sbagliarmi.

Detto questo, non sono contrario all’espianto di organi da chi acconsente in quel momento ed è in grado di sopravvivere all’espianto (ad esempio, di un rene) o da chi ha acconsentito in anticipo ed è ormai in punto di morte. Quest’ultima persona, un essere umano innocente, non potrà mai essere uccisa per i suoi organi. Piuttosto, se disponessimo di una tecnologia in grado di preservare il loro cuore, ad esempio, dopo la morte, cioè dopo l’inizio della decomposizione corporea, per dire iniettando l’organo con qualche sostanza chimica in grado di preservarlo o di eliminarne la diminuzione della funzionalità, allora non avrei alcuna obiezione etica al riguardo. Forse i nostri impressionanti sviluppi nel campo della tecnologia medica potrebbero contribuire a risolvere questo particolare problema.

5) Un altro tema che ha toccato nei suoi scritti è quello dell’etica animale. Una parte della società sembra andare nella direzione di considerare l’uomo e gli altri animali su pari livelli di dignità e di ritenere ingiustificate le differenze di trattamento, sia tra l’uomo e gli animali, sia tra gli animali stessi. Lei pensa che si possa giustificare non solo un trattamento diverso tra uomini e animali, ma anche un trattamento diverso per ogni specie animale? C’è chi dice, ad esempio, che non avere problemi a mangiare un maiale ma indignarsi nei confronti di quelle culture in cui si mangiano i cani sia ipocrita.

È vero, c’è un bel po’ di ipocrisia intorno agli animali e molta apparente irrazionalità. I maiali sono sicuramente animali intelligenti e molto consapevoli, come i cani. Purtroppo, i primi sono storicamente cibo in alcuni Paesi, mentre i secondi non lo sono. Se si trattasse di una questione di diritti e di parità di trattamento, avremmo un problema di riconciliazione: non condannare le società in cui si mangiano i nostri animali domestici preferiti, o smettere di mangiare panini al prosciutto.

A mio avviso, però, non si tratta di una questione di diritti degli animali, perché gli animali non hanno diritti. Un tempo la pensavo così ed ero vegetariano per questo specifico motivo. Ma sono stato dissuaso dal mio vegetarianismo da motivi puramente filosofici. C’è un capitolo sugli animali nel libro che ho citato prima, Applied Ethics. Dire che gli animali non hanno diritti sembra scandaloso: quindi possiamo fare loro quello che vogliamo? Certo che no! A mio parere, abbiamo ancora degli obblighi nei confronti degli animali, anche se questi obblighi non sono dovuti al fatto che gli animali non umani posseggano diritti. Possiamo mangiarli, ma abbiamo l’obbligo di allevare e macellare i nostri animali da reddito nel modo più umano possibile. Dovremmo optare per il biologico e per l’allevamento all’aperto, ove possibile. Dovremmo condannare le condizioni disumane in cui sono tenuti gli animali in tutto il mondo, che sia per l’alimentazione, per lo sport, l’intrattenimento o la ricerca medica.

E sì, diversi tipi di animali richiedono trattamenti diversi a seconda della loro natura. C’è un’enorme spinta a livello globale per farci mangiare gli insetti, no? Beh, non sento parlare molto dei problemi legati all’allevamento intensivo di grilli o lombrichi, del fatto che si annoino nelle loro gabbie, che sono frustrati e incapaci di esprimersi. Dubito che ci siano questi problemi. Quindi è chiaro che dobbiamo adattare il nostro trattamento nel miglior modo possibile alle esigenze e al comportamento naturale di qualsiasi animale che utilizziamo per i nostri scopi.

Quindi sto condonando il fatto di mangiare i cani? Non fa per me. Non è qualcosa che consiglierei perché non fa parte della mia cultura o del mio modo di vedere il mondo animale. Ma questo non è ipocrita, perché sono libero di scegliere quali animali mangiare o consigliare di mangiare, così come sono libero di scegliere quali animali avere come animali da compagnia o consigliare di avere come animali da compagnia, o cavalcare per divertimento o come mezzo di trasporto o guardare al circo o allo zoo o usare per l’abbigliamento o per scopi terapeutici. L’unica considerazione etica è che tali pratiche siano condotte in modo umano. Non ho idea di come potrebbe essere un allevamento umano dei cani. Dubito che funzionerebbe. Può essere abbastanza umano con i maiali. Ma non sono un esperto di allevamento e sono aperto alla persuasione in un senso o nell’altro. Quello che so è che dovrei trovarmi in punto di morte per mangiare un grillo.

Approfondimenti:

Libri:

  • Oderberg, D. S. (2020). The metaphysics of good and evil. Routledge.
  • Oderberg, D. S. (2018). Opting out: Conscience and cooperation in a pluralistic society. London Publishing Partnership.
  • Oderberg, D. S. (2007). Real essentialism. Routledge.
  • Oderberg, D. S. (2000). Applied ethics: A non-consequentialist approach. Blackwell.
  • Oderberg, D. S. (2000). Moral theory: A non-consequentialist approach. Blackwell.

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