“La cura e il rispetto” di Corrado Viafora | Recensione

Negli ultimi anni si è andato intensificando il problematico rapporto tra salute e tecnologia medica. Se le innovazioni della medicina hanno sicuramente aumentato il nostro benessere e le nostre aspettative di vita, non si può fare a meno di constatare che esse hanno anche aumentato il controllo che la medicina stessa ha sul nostro venire al mondo e sul nostro morire. Non stupisce quindi la forza con cui ciclicamente si presentano i dibattiti all’interno della nostra società sulle questioni di inizio e fine vita. Che fare dunque? Se da una parte c’è chi insiste nello sfruttare ciò che la tecnica mette a disposizione al fine di proteggere la vita anche in situazioni limite, dall’altra c’è chi cerca di consegnare all’individuo sovrano piena potestà sulla propria vita e sul proprio corpo. Ma sono solo queste le strade possibili? Nel suo libro “La cura e il rispetto. Il senso della bioetica clinica”, Corrado Viafora esplora queste domande, tentando di percorrere una terza via: quella dell’accompagnamento.

L’autore parte innanzitutto dalla constatazione delle molteplici origini dei problemi etici scaturiti dal rapporto tra salute e tecnologia: l’evoluzione della relazione medico-paziente, il crescente potere tecnologico della medicina, il coinvolgimento di più figure professionali dovuto a sua volta all’ampliamento del concetto di salute, la sostenibilità del sistema sanitario e la perdita di valori condivisi. Come affrontare questi problemi? Nella consapevolezza che “tra la decisione fondata su ragioni assolutamente oggettive e quella fondata su ragioni assolutamente soggettive si situa lo spazio di scelte frutto di un confronto argomentato” (p.40), l’autore propone di partire dalla realtà clinica, fatta di storie reali e casi concreti, e da essa trarre delle conclusioni che, a seguito di un confronto argomentato, possano dirsi ragionevoli. Dal momento però che lo spazio di dialogo all’interno della società e delle istituzioni sanitarie è quantomeno esiguo, diventa necessario aprire uno spazio all’interno delle istituzioni sanitarie in cui possa avvenire un confronto proficuo tra varie figure professionali e grazie al quale si possa pervenire a delle linee guida più generali che siano giustificate dai migliori argomenti e, in ogni caso, da sottoporre anche al confronto con il resto della società e con le normative vigenti. L’autore individua questo spazio nei comitati etici per la pratica clinica, che nel nostro Paese si trovano ancora in uno stato ambiguo e non sono pienamente riconosciuti e regolamentati. All’interno dei comitati etici, l’analisi dei casi clinici da cui partire dovrebbe avvenire attraverso due fasi principali: il momento della narrazione, in cui il paziente e le persone direttamente interessate possano raccontarsi apertamente nella loro totalità di persone in relazione, e il momento dell’argomentazione, in cui le varie ragioni a sostegno delle possibili strategie di azione vengono vagliate e considerate nella loro ragionevolezza e fattibilità. Nessuna verità precostituita quindi, ma lo spassionato confronto tra persone ragionevoli, ciascuna con le proprie competenze e sensibilità.

Quali principi dovrebbero però orientare la pratica clinica e il lavoro all’interno dei comitati? Viafora ne identifica uno in particolare: la dignità umana. L’autore intende la dignità umana in senso kantiano, come qualcosa di inerente a tutti e soli gli esseri umani, in virtù della loro identità di persone, ovvero di esseri in grado di agire moralmente, senza però trascurare la dimensione intersoggettiva in cui la dignità deve essere riconosciuta e rispettata. Pur consapevole delle critiche spesso mosse a questo concetto, l’autore ribadisce la superiorità di un’etica che fa perno sul concetto di dignità rispetto ad altre etiche contemporanee che assolutizzano il bene vita o il principio di autonomia. La dignità sembra infatti intercettare gli aspetti positivi di queste prospettive, stemperandone le problematiche e rendendole più aderenti alla vita vissuta. Dal momento che però la dignità appartiene ad ogni singola persona ed ogni persona ha un suo vissuto e un suo orizzonte di senso, non si può affermare in astratto cosa significhi rispettare la dignità di una persona, ma bisogna necessariamente rifarsi al contesto clinico in cui si trova quello specifico paziente. Ecco quindi che una stessa azione può promuovere o violare la dignità del paziente in contesti diversi.

Dopo aver delineato la sua idea di bioetica clinica, Viafora si confronta con alcune questioni di inizio e fine vita, proponendo un’etica dell’accompagnamento volta ad assistere il paziente affiché possa prendere delle decisioni adeguatamente informate e compatibili con il senso che dà alla propria vita. Pur valorizzando le scelte autonome del paziente, l’autore non si limita a rifugiarsi nell’appello all’autonomia, come accade con alcune etiche liberali, ma insiste sul ruolo dei professionisti sanitari e della rete di relazioni del paziente nell’aiutarlo a compiere delle scelte realmente consapevoli e compatibili con il suo vissuto, senza però farlo sentire abbandonato alla propria autonomia. Questo implica che, talvolta, sia necessario non assecondare le sue volontà immediate, in particolare se ci sono buone ragioni per ritenere che esse siano indebitamente influenzate da fattori esterni o da erronee percezioni soggettive che possono trovare risposte più efficaci, dirigendolo così verso decisioni più consapevoli. L’etica dell’accompagnamento si presenta quindi come una terza via tra un’etica liberale basata sulla non interferenza e un’etica della legge naturale che, in alcuni casi, può assumere uno stampo eccessivamente paternalistico.

Riguardo all’inizio vita, l’autore si concentra sul tema delle diagnosi prenatali e sulla decisione di abortire che spesso ne consegue. Pur affermando che l’ultima scelta va lasciata alle donne, l’autore si chiede, da una parte, quanto questa scelta sia veramente libera e informata, date le diverse pressioni che la donna può ricevere nel sottoporsi alla diagnosi prenatale, dall’altra, se la diagnosi prentale non mascheri degli atteggiamenti discriminatori, basati su stereotipi negativi e pregiudizi, verso le persone disabili. Confrontandosi con le posizioni comunitariste (Sandel) e liberali (Buchanan e Robertson), l’autore sceglie di rifarsi al modello della teologa morale Hille Haker e alla sua “etica critica della responsabilità” che, ribadendo nondimeno l’importanza di lasciare l’ultima scelta alla donna, sottolinea la rilevanza che assumono il riconoscere e l’accogliere l’unicità di ogni essere umano che possa dirsi figlio, contro le pressioni culturali e sociali verso tutto ciò che non è considerato normale. Nel contesto della diagnosi prentale sarà quindi importante effettuare una consulenza olistica con la coppia, in modo che possa prendere decisioni autenticamente informate, rimanendo cosciente del fatto che “la vita umana in se stessa è strutturalmente segnata dal limite” (p.157).

Passando invece al fine vita, l’autore elabora l’etica dell’accompagnamento a partire da alcune osservazioni fondamentali: la trasformazione della morte da esperienza significativa a esperienza medica, la privatizzazione e negazione sociale della morte, la perdita di una sfera simbolica collettiva in cui inserire l’esperienza della morte e la volontà diffusa di porre la morte sotto il proprio cotrollo. L’etica dell’accompagnamento che l’autore intende adottare, ispirata in particolare a Patrick Verespieren e alla concezione di cura di Cicely Saunders, è volta a recuperare la dimensione antropologica del morire, ovvero il valore dei significati che ogni individuo può attribuirvi, in un approccio globale alla persona. È fondamentale, in questa prospettiva, far fronte alla sofferenza del paziente nella sua totalità, fisica, psicologica ed esistenziale, e insistere sulla componente relazionale della cura, con la promozione di una “comunità di cura”, in cui il contributo dei familiari e più in generale della società permetta al morente di non sentirsi abbandonato e privato della propria dignità di persona.

In questo senso l’autore interpreta anche la legge 219 del 2017 sulle disposizioni anticipate di trattamento e sulla pianificazione condivisa delle cure. Sottolineandone le similitudini e le differenze e ribadendo il valore del consenso informato, l’autore sostiene che questi strumenti siano un’importante espressione della relazione di fiducia tra il medico e il paziente, relazione che deve però basarsi sempre sul rispetto del paziente come persona e sulla pratica clinica. Ogni richiesta del paziente andrà quindi valutata in base ai criteri di appropriatezza clinica, stabilita dal medico, e di proporzionalità, dipendente dalla percezione soggettiva del singolo paziente. Se nel complesso la legge 219 riesce a rendere conto di questi fattori, quello che manca secondo l’autore è l’attenzione verso la “dimensione intersoggettiva della dignità umana” (p. 212), ovvero verso quella solidarietà che sta a fondamento del sistema sanitario nazionale.

Cosa fare invece dei pazienti che chiedono di essere aiutati a morire? Ferma restando la possibilità di sospendere o rifiutare qualsiasi trattamento e di scegliere di ricorrere alla sedazione profonda, anche per motivi di sofferenza esistenziale, e la differenza, non adeguatamente ribadita dalla Corte Costituzionale, tra interrompere i trattamenti e sopprimere direttamente il paziente, non si può escludere, in pochi casi di estrema necessità in cui la persona “diventa” il suo dolore, la possibilità di aprire all’aiuto a morire. Questo a patto però che prima si valuti attentamente l’impatto che un’eventuale legge potrebbe avere sulla società e sulle persone più vulnerabili e che si assicuri ai pazienti la possibilità di accedere ad altri percorsi di cura, specialmente le cure palliative.

Ad accompagnare le riflessioni etiche dell’autore, nel corso del libro vengono inoltre narrate numerose storie di pazienti che si trovano in diverse condizioni, corredate da inviti a riflettere su di esse a partire dalle considerazioni svolte in precendenza. Questo permette di vedere come la prospettiva etica proposta dall’autore possa poi essere concretamente applicata nel contesto clinico specifico.

Anche per questo motivo, il libro di Viafora si dimostra un importante contributo nel panorama bioetico italiano e potrebbe risultare particolarmente utile agli operatori sanitari e a chi volesse toccare con mano l’utilità della bioetica nella pratica clinica quotidiana, una bioetica concreta e lontana da quegli esperimenti mentali fuori dal normale, tipici di tanta letteratura statunitense sul tema.

Corrado Viafora. La cura e il rispetto. Il senso della bioetica clinica. Franco Angeli, 2023, pp. 264, € 34,00.

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